Durante questa fase di lockdown, la piattaforma Zoom ha avuto un successo globale e una crescita esponenziale in termini di utilizzo, ma pare che l’aumento degli utenti (oltre 200 milioni nel mondo) non sia stato accompagnato da una maggiore livello di sicurezza da parte della omonima casa che produce il software. Il New York Times ha infatti denunciato un nuovo fenomeno chiamato “zoobombing”.
Alcuni hacker si intromettono nelle videoconferenze individuando il numero che le identifica accedendo alle sessioni di lavoro per condividere materiale pornografico, propaganda nazista e altro materiale osceno o di certo non gradito alla maggior parte degli utenti.
Pare esistano decine di pagine sui social network e chat sulle principali app di messaggistica dove si organizzano questi raid.
Ma le novità non finiscono qui, infatti pare che l’azienda condivideva i dati degli utenti con servizi di terze parti e che il software fosse caratterizzato da numerosi bug, in quanto le conversazioni non sarebbero protette da crittografia end-to-end. Inoltre, secondo quanto riporta Citizenlab, Zoom avrebbe più volte dirottato parte del traffico su server cinesi. Ciò significa che se le autorità di Pechino lo volessero, potrebbero richiedere le chiavi crittografiche per accedere ai dati delle videoconferenze.
Alla luce di questi eventi, l’azienda che produce Zoom si è scusata per i numero problemi di sicurezza, ma questi sono certamente ottimi motivi per utilizzare altri software per videoconferenze come Meet Now di Skype o Google Meet per gli studenti che devono partecipare alla didattica a distanza in questo periodo di emergenza a causa del coronavirus. “Zoom ha implementato controlli interni stingenti e validati per impedire l’accesso non autorizzato ai contenuti che gli utenti condividono durante le riunioni”, ha scritto in un post il CEO della piattaforma, Eric Yuan.